“Our consciences take NO notice of pain inflicted upon others until it reaches a point where it gives pain to US. In ALL cases without exception we are absolutely indifferent to another person’s pain until his sufferings make us uncomfortable.” – (Mark Twain, What is Man?)
La parte nuova di Gerusalemme non ha di certo grandi attrazioni turistiche paragonabili a quelle della città vecchia, ma è molto più bella e gradevole di quanto si potrebbe immaginare. Dopo pochi giorni non ho potuto far altro che constatare che ci potrei vivere senza problemi, anche se non sono un amante delle grandi città. L’ho trovata molto vivibile, ordinata, tranquilla, a misura d’uomo, moderna ma non troppo. Ci sono dei quartieri belli e pittoreschi, locali e ristoranti per ogni gusto, mercati ben forniti, negozietti di roba vintage, musei e gallerie d’arte. Tutto ciò ovviamente si ferma durante lo shabbat ( dal tramonto di venerdì fino a quello di sabato ), quando la città diventa un luogo surreale, sembra uno dei quei posti abbandonati in fretta e furia da tutti nei film apocalittici americani.
In realtà qualche “attrazione turistica” c’è, ma quasi tutto abbastanza strano se non inquietante, come il quartiere degli ultra-ortodossi o il museo Yad Vashem sull’olocausto.
Il museo sull’olocausto mi è piaciuto molto. Onestamente mi aspettavo qualcosa di molto più propagandistico, ma invece è un museo dove tutta la terribile storia della Shoah è raccontata in modo accurato e impeccabile dal punto di vista storico. Meglio prepararsi perché molte cose sono veramente dure da digerire, c’è purtroppo molto altro oltre alla storia “classica” che abbiamo imparato a scuola o dai film. L’edificio è stranissimo, è una specie di enorme prisma di cemento conficcato in una collina, il Monte Hertzl che è un luogo sacro per tutti gli ebrei.
Si segue un percorso a zig zag che narra la storia della persecuzione degli ebrei fino all’orrore dei campi di concentramento. Ci sono interviste ai sopravvissuti, i manifesti dei nazisti e i discorsi di Hitler, le insegne e i vestiti con la stella di Davide sul petto, una ricostruzione del famigerato ghetto di Lodz e una delle camerate di Aushwitz, incredibili gallerie fotografiche, i tanti oggetti sequestrati agli ebrei. C’è una sezione sugli orrori commessi dai nazisti e dai collaborazionisti locali durante l’Operazione Barbarossa che è quasi insostenibile ( ho fatto l’errore di fermarmi a vedere l’intervista a una donna che fu gettata viva in una fossa comune, terrificante ). L’unica parte dove si può tirare un po’ il fiato è quella con le storie dei giusti tra le nazioni ( fuori dal museo c’è il giardino con i nomi di tutti ), persone che rischiarono la propria vita per salvare quella degli ebrei, disinteressatamente. La parte finale è forse la più deprimente, e nell’ultima sala è difficile non commuoversi. E’ la “sala dei nomi”, una grande stanza circolare dove si archiviano le storie di tutti gli ebrei uccisi nell’olocausto. In mezzo c’è una specie di pozzo che vuole commemorare coloro che non potranno essere ricordati perché tutti i loro parenti e quelli che li conoscevano morirono anch’essi nella Shoah. Nel soffitto c’è come una grande cupola illuminata con tante foto. Fuori, oltre al giardino dei giusti, ci sono alcune sculture, un vagone merci di quelli usati dai nazisti sospeso nel vuoto, una sala multimediale per chi vuole approfondire e una commovente grotta dedicata ai bambini uccisi dai nazisti ( 1.5 milioni ). L’interno è quasi completamente buio con tantissime fiaccole e una voce che recita il nome, la nazionalità e l’età di ogni bambino. Serve minimo una mezza giornata per una visita normale, anche perché c’è sempre molta gente, scolaresche, gruppi di turisti con guide.
Il museo Yad Vashem si trova in periferia, all’ultima fermata della LRT e visto che ci si trova da quelle parti vale la pena anche andare a vedere Ein Kerem, un bel villaggio che si trova da quelle parti tra pittoresche colline e che è noto soprattutto per essere il luogo di nascita di Giovanni Battista, ma è citato anche nell’Antico Testamento. E’ molto carino, ci sono case tradizionali in pietra, piantagioni di ulivi e ottimi ristoranti. Ci vivono molti artisti e gente “alternativa” che ha trovato il luogo ideale per cercare un’ispirazione.
Il quartiere Mea Shearim era dietro al mio ostello ( che era molto più moderno e pulito di quello della città vecchia, ma c’era anche meno atmosfera ) e sono andato a vederlo il primo giorno. E’ abbastanza inquietante. Questi ebrei vivono in un loro mondo e non hanno nulla a che fare con gli altri estremisti israeliani, anzi molti non riconoscono nemmeno lo Stato di Israele, si rifiutano di fare il servizio militare e addirittura possono avere posizioni più vicine ai palestinesi. Rifiutano la modernità e la tecnologia, vestono solo gli abiti tradizionali e parlano l’yiddish e non l’ebraico. Andare in questi quartieri è un vero e proprio viaggio nel tempo, visto che si può osservare come poteva essere la vita di questi ebrei in un ghetto dell’Europa dell’Est molto prima che arrivassero i nazisti a cacciarli. Se non si conosce nessuno è meglio farsi i cazzi propri e far finta di essere uno che passa di là per caso ( e soprattutto per le donne evitare abiti succinti ) : è gente strana, detestano essere visti come attrazioni turistiche ( ci sono anche dei cartelli contro i gruppi ) e non sono particolarmente tolleranti. Evitare foto o selfie, potrebbero anche tirarti dei sassi se gli gira male.
Il posto forse più noto e frequentato dai turisti della città nuova comunque credo sia il mercato Mahane Yehuda, anche perché la sera può essere un ottimo posto per andarsi a bere qualcosa e ascoltare un po’ di musica anche live. Me l’aspettavo più grande, ma è interessante, coloratissimo e molto vivace ad ogni ora ( a parte durante durante lo shabbat quando sembra un luogo abbandonato o un centro sociale ). E’ abbastanza caro, se si vuole comprare spezie, tè o qualcosa di tipico è meglio prenderli a Tel Aviv ( o ancora meglio in Palestina se ci si va ).
Vicino al mercato c’è un localino dove fanno il miglior sabich ( un paninazzo vegetariano che ha dentro di tutto, è una vera impresa mangiarlo, ma è buonissimo ) della città, che è assolutamente da non perdere. L’insegna è in ebraico ma non è difficile trovarlo, c’è sempre un sacco di gente. Nella zona adiacente c’è anche uno dei più bei quartieri della città, Nachlaot. E’ un labirinto di vicoli e stradine in lastricato, tra vecchie case con finestre colorate e fiori, piazzette, graffiti, piccoli empori e sinagoghe. In passato era uno dei centri religiosi più importanti della città, ma oggi è diventato una specie di quartiere funky/hippy e ci vivono molti artisti, fricchettoni, spiritualisti, viaggiatori, musicisti.
Non lontano dal centro c’è anche Mishkenot Sha’ananim, che fu il primo insediamento ebraico fuori dalle mura. E’ veramente carino con le tipiche case palestinesi in pietra, giardini, cactus, cascate di bouganville e stradine in ciottolato. C’è anche un mulino a vento, il famoso mulino di Montefiore ( banchiere e filantropo inglese ). In realtà tutto è stato restaurato o ricostruito in tempi relativamente recenti, visto che tra il 1948 e il 1967 tutta questa zona confinava con la terra di nessuno tra i due eserciti e fu abbandonata. E’ comunque gradevole, molto tranquillo e dà l’impressione di un villaggio antico. Alcune case sono spettacolari e credo che costino un occhio, vista la posizione e la tranquillità del luogo. Può essere una bella passeggiata dal centro, poi si può proseguire fino alla Bible Hill ( splendida vista sulla città vecchia e la Cisgiordania sullo sfondo ) e quindi salire al Monte Sion sull’altro lato della valle.