Ayutthaya, Thailand
L’idea di andare a visitare il piccolo villaggio karen di ban sane pong nasce una sera al burmese inn, leggendo una dispensa che descriveva le principali attrazioni della zona. In teoria dovrebbe essere un facile mini-trekking di mezza giornata o poco piu’ e non dovrebbero esserci particolari difficolta’, con un boda boda ( moto taxi, non ho ancora capito come si chiamano qui in thailandia ) si dovrebbe raggiungere una specie di incrocio e da li’ camminare per 4 chilometri. Uso il condizionale perche’ ovviamente la “facile” escursione come spesso accade nasconde in realta’ qualche insidia. In primo luogo nessuno sembra conoscere il posto, e solo dopo un buon quarto d’ora di spiegazioni a vari motociclisti riesco a trovarne uno che forse ha capito dove voglio andare, anche se per sicurezza vuole fermarsi a chiedere informazioni all’internet cafe dove c’e’ una tizia che parla inglese. Dopo un breve conciliabolo con altri tre tizi che si sono aggiunti tutti hanno capito dove voglio andare, ma la tipa mi dice:”dengelus fol falang alone, go atel place!”. Non ci credo e comunque dopo piu’ di mezz’ora persa in spiegazioni non ho certo intenzione di rinunciare. E poi onestamente dopo aver attraversato l’Africa nera la giungla thailandese mi fa un baffo. Parto dunque con il boda boda che dopo circa un quarto d’ora mi molla ad uno spiazzo dove finisce la strada asfaltata, e quindi inizio a camminare. Mi rendo subito conto che si poteva benissimo proseguire ancora, la strada e’ sterrata e malridotta ma percorribile senza grossi problemi. Infatti dopo un po’ passa un contadino in motorino che si ferma e mi offre un passaggio. Ban sane pong! Gli dico. Lui sorride e mi fa cenno di salire. Arriviamo ad un bivio, il tipo deve proseguire a sinistra e io a destra ( forse ). In un baracchino a lato uno strano personaggio con un passamontagna di lana e un casco da fantino blu in testa mi fa cenno di avvicinarmi. Ban Sane Pong? Chiedo. Il tipo parcheggia il motorino e a gesti mi fa capire che puo’ accompagnarmi a piedi. Sempre a gesti mi spiega che e’ un portatore o qualcosa di simile per i trekking che passano in zona, poi tira fuori il cellulare e chiama un uomo ( probabilmente l’organizzatore dei trek ) che in inglese con un accento francese mi dice che posso tranquillamente seguire il tizio e che il villaggio non e’ lontano.
Il villaggio e’ effettivamente in mezzo alla giungla ma non e’ nulla di cosi’ fuori dal mondo come volevano farmi credere i tipi di Sangkhlaburi. Cioe’ e’ davvero un villaggio karen, abitato da simpaticissimi karen che vivono nelle tipiche capanne-palafitte karen, ma non sono i selvaggi della Omo valley, qui hanno elettricita’, parabole e cellulari, e conoscono benissimo la cosidetta “civilta’”. E secondo me sono cosi’ anche tutti gli altri villaggi simili in Thailandia e in Laos ( anche quelli delle famose “donne giraffa”, che vengono venduti ai turisti come zone tribali quando in realta’ ormai di tribale hanno ben poco ). Forse sono un po’ diversi i villaggi in Birmania, d’altronde la’ non vedono la tv nemmeno nelle citta’…
Alla fine mi congedo dalla guida ( che non vuole nulla ) e ritorno a piedi verso Sangkhlaburi. Dopo circa un’ora sotto il sole cocente del primo pomeriggio comincio a pensare che farsela tutta a piedi e’ troppo dura ma al primo baracchino un tizio che riposa su di un’amaca mi lancia un:”Sangkhla?” e per 40 bath ( la meta’ di quanto ho pagato all’andata ) in 10 minuti sono di nuovo al Burmese…
Forse ho preso un virus nella scheda della macchina fotografica, vedo le foto ma non riesco a trasferirle sul computer, spero di poterle salvare in qualche modo.