Trekking nelle Simien Mountains ( seconda parte )

simien etiopia

Bahir Dar, Etiopia

Secondo giorno: Sankaber ( 3200 m )-Gich camp ( 3600 m ) – 4.30 ore

Per fortuna mi sento un po’ meglio e sembra che alla fine riusciro’ a concludere anche questo trek, magari senza la salita al Ras Dashen, che tra l’altro tutti continuano a dirmi che non vale la pena. La seconda tappa e’ breve ma splendida, si costeggia inizialmente il bordo di un impressionante precipizio dal quale si puo’ godere di una sublime vista su parte della catena montuosa e quindi, dopo essersi fermati ad ammirare un orrido senza fondo ( the Gich abyss ) nel quale si getta un’altissima cascata, si “passeggia” tra bellissimi campi di grano sull’altipiano ( molti babbuini ). Quindi si raggiunge il pittoresco villaggio di Gich, dove lo scout mi propone un caffe’ locale. Entriamo in una delle caratteristiche capanne a base circolare e una giovane donna ( con classico bambino sulla schiena tenuto come uno zainetto ) mi prepara il caffe’ partendo dalla base: prima lava i semi, quindi li tosta sul fuoco, poi li polverizza in un mortaio e infine fa bollire l’acqua nella caffettiera dove mette il preparato. Molto buono, anche se non hanno lo zucchero e anzi non sanno nemmeno cosa sia. Queste capanne sono piu’ solide di quanto sembri, hanno una spessa base circolare di pietre e un intricato intreccio di rami e di paglia. Onestamente conoscendo gli etiopi mi aspettavo una fregatura, che mi facessero pagare tipo 10 o 20 volte il prezzo di un caffe’. Ma invece mi fanno pagare il giusto, anzi considerato il lavoro della donna ( 20 minuti ) direi anche poco. Certo in un villaggio in Sudan il caffe’ me l’avrebbero offerto…

Il campo di Gich si trova qualche centinaia di metri sopra il villaggio ed e’ veramente bello, sul bordo di un verdissimo altipiano dove ci sono muli e cavalli che brucano l’erba ed enormi aloe che si stagliano all’orizzonte ( forse non sono aloe ma le chiamero’ cosi’ finche’ non scopro cosa sono ). In cielo veleggiano grandi rapaci ( mi dicono siano dei Lammergeyer ).

simien etiopia

Non mi piace molto fare trekking con uno scout e con un mulettista, sono sempre dell’idea che in montagna e’ sempre meglio andare da soli, anche se in questo caso non avevo proprio scelta. I due sarebbero anche simpatici, ma hanno questo atteggiamento servile che proprio non sopporto. Ovviamente si comportano cosi’ non disinteressatamente, lo fanno solo sperando in una mancia piu’ lauta alla fine. Un’altra cosa che non sopporto e’ andare in montagna dovendo seguire un tipo che va velocissimo e poi ti aspetta con un’espressione del tipo: “perche’ vai cosi’ piano?” ( forse perche’ non sono nato e non vivo a 3000 metri??? ). Inconsciamente tendi ad accelerare leggermente il passo e a queste altitudini e’ deleterio, finisci per stancarti molto di piu’ del necessario. Sono abbastanza sicuro che non faro’ piu’ trek o salite con guide, similguide, rangers, scouts o giovani marmotte. Se non potro’ andare da solo o con gente fidata me ne staro’ a casa. Posso fare al limite un’eccezione per delle salite alpinistiche, ma parliamo ovviamente di una cosa diversa.

Terzo giorno: Gich Camp ( 3600 m )-Chennek camp ( 3700 m ) – 5 ore

La migliore tappa del trek. Per tutto il giorno ho potuto ammirare paesaggi meravigliosi, quasi fiabeschi, a tratti dolomitici. Non ho intenzione di aggiungere niente alle parole del grande Malaparte, che ha descritto in modo cosi’ perfetto queste montagne, le Dolomiti “impazzite”. Abbiamo prima raggiunto la cima Imet Gogo ( 3926 m ), “the finest viewpoint of the Simiens”, dove incontro di nuovo la simpatica coppia di svedesi, anche loro molto infastiditi dall’atteggiamento degli etiopi. Anche loro infatti volevano fare il trek senza guida ma gli hanno detto che era obbligatoria. Poi quando hanno visto che avevano una videocamera gli hanno chiesto 9000 ( si’, proprio 9000 ) dollari! A quel punto se ne stavano per andare, allora il tipo ha detto che bastavano “solo” 500 dollari, ma a quel punto la truffa era chiara e alla fine non hanno pagato niente.

simien etiopia

babbuino gelada

Quindi dopo essere scesi per 4 0 500 metri abbiamo risalito faticosamente la cima Inatye ( 4070 m ), sempre sul bordo di uno stupefacente abisso. Da questa cima si puo’ godere di un panorama vastissimo, e si ha l’impressione di trovarsi sulla prua di un’enorme nave che veleggia verso gli ignoti mari del sud… Ci siamo nel frattempo aggregati ad un gruppetto di ragazze neozelandesi-inglesi-svedesi e il mio scout pare che abbia perso la testa per la bella svedese, visto che praticamente non mi caga piu’ fino a Chennek e segue lei come un’ombra. Passiamo vicino ad un’altro folto branco di babbuini e incontriamo diversi bambini che vendono i caratteristici cestini colorati ( che ovviamente non compro perche’ non mi va di dare soldi a bambini di 5 anni ). Qundi si traversa l’altro lato del precipizio fino ad arrivare al bellissimo campo di Chennek. Le ragazze se ne vanno col minibus a Debark e resta un tipo inglese che il giorno dopo andra’ in cerca degli stambecchi Walia ( da solo, perche’ la sua guida e’ piegato in due dal mal di schiena ). Proprio questa guida in serata mi da’ un’ennesima prova della maleducazione e dell’avidita’ di questa gente. Dopo aver cucinato una minestra con le mie pentole e con il mio fornello ( senza ovviamente chiedere il permesso ) mi chiede se voglio anch’io un piatto. Dico che va bene e a quel punto il tipo mi risponde che pero’ devo dargli dei soldi. Sto per incazzarmi ma invece mantengo la calma e gli dico solo di restituirmi le mie pentole lavate e che non ho bisogno della sua minestra visto che ho abbastanza da mangiare.

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cima inatye e imet gogo

Quarto giorno: Chennek camp ( 3700 m )-Ambikwa ( 3200 m ) – 6 ore

Il giorno piu’ duro. Non ho piu’ strani malesseri causati dall’altitudine ma nei giorni scorsi ho mangiato davvero troppo poco e ora le energie sono al lumicino. La salita dal campo fino al passo del Bwahit ( 4250 m ) e’ stata faticosissima, praticamente 2 ore di apnea totale. Riesco a vedere solo due stambecchi, ma sono molto lontani. In realta’ non sembrano molto diversi dai nostri, quelli che nel gruppo del Montasio si vedono a centinaia senza bisogno di andare a cercarli. Segue quindi un’interminabile discesa al villaggio di Chiro Leba ( se ho capito bene lo scout dovrebbe essere di queste parti ) dove c’e’ qualche squallido lodge/ristorante, dei piccoli empori e un numero spropositato di bambini che ti salutano e ti rincorrono. Sono bellissimi, alcuni hanno la cresta punk e altri il “tappetino” di Ronaldo, il peggior taglio di capelli che si sia mai visto nella storia dell’uomo. Sono anche sporchissimi, molti sono letteralmente ricoperti di mosche. In realta’ questi villaggi non sono cosi’ poveri come sembrerebbe, nessuno di certo muore di fame e la gente conduce una vita semplice per certi versi paragonabile a quella dei nostri nonni o bisnonni. Certo oggi ci sono conoscenze diverse rispetto ad allora e la vita di queste persone potrebbe essere molto migliore. Il problema piu’ grosso qui e’ l’ignoranza, che porta la gente a non desiderare una vita migliore per se’ e per i propri figli e soprattutto a non seguire nemmeno le piu’ semplici regole igieniche. Qui infatti e’ presumibile che molte persone, bambini piccoli, soffrano di malattie anche molto serie causate da questo.  Da Chiro Leba si scende al fiume attraversando una magnifica vallata di agavi e mega-euphorbie e quindi si risale faticosamente per 400 metri di dislivello al piccolo villaggio di Ambikwa, dove arrivo abbastanza stremato, piu’ che certo che il giorno seguente non scalero’ ne’ il Ras Dashen ne’ nessun’altra montagna. Per me andar per monti e’ sempre un piacere, quando pero’ non sei in perfetta forma e la fatica ti impedisce perfino di goderti il paesaggio, allora e’ il momento di rinunciare e fare qualcos’altro. Ci sono sempre splendide cime che mi aspettano nelle Alpi e il trek e’ stato finora comunque splendido. Arrivando al villaggio tiro fuori la macchina fotografica per fare un paio di foto e in quel momento passano due donne con il bambino-zainetto d’ordinanza. Non mi salutano nemmeno e mi dicono subito: “fotograff tu birr!”, una indica il bambino. Ovviamente rifiuto, e se ne vanno guardandomi in cagnesco come se gli avessi fatto chissa’ che torto.

Continua…

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