Addis Abeba, Etiopia
Settimo giorno: Chennek ( 3700 m ) – Sankaber ( 3200 m ) – 4.30 ore
Il ritorno a Sankaber e’ abbastanza monotono, visto che gran parte dell’itinerario si svolge sulla carrareccia che conduce a Debark. Quindi se si e’ in gruppo e’ piu’ che sensato organizzare il ritorno in minibus. Da soli invece e’ una spesa davvero eccessiva, con 70 euro qui in Etiopia fai il signore per un bel po’ di giorni.
Oggi mi sentivo come un leone, avrei tranquillamente scalato il Ras Dashen 2 volte, e forse anche qualche cima himalayana ( ok, non l’Everest o il K2… ). Mi sono fatto almeno 25 chilometri a piedi, dei quali almeno 10 di salita, in poco piu’ di 4 ore, ad un’altitudine costante di 3500/3700 metri. Essendo in buona forma ho potuto comunque gustarmi il bel panorama, e godere delle fioriture di alcune strane piante che non avevo notato all’andata.
Sto iniziando a capire l’atteggiamento degli etiopi verso noi “faranji”: fin da piccoli vengono educati a vederci non come delle persone uguali a loro, ma come esemplari di una razza diversa, forse venuta da un pianeta lontano, dal quale abbiamo portato enormi ricchezze che ovviamente non meritiamo, perche’ fondamentalmente siamo tutti degli idioti. Chiaramente non e’ proprio cosi’, ma la sostanza e’ quella.
Ottavo giorno: Sankaber-Debark – 5.30 ore
Non so perche’ nessuno fa questa parte del trek ma io l’ho fatta due volte e mi e’ piaciuta molto. Certo solo una parte e’ in ambiente montano ma il paesaggio e’ bellissimo, direi tipicamente bucolico. Si ha poi la possibilita’ di incontrare delle persone fuori dal circuito turistico e di osservare scene di vita quotidiana della vita dei contadini dell’altopiano etiope.
Arrivo a Debark assetato, affamato, col viso bruciato dal sole, ma di ottimo umore: il trek e’ stato all’altezza delle aspettative e dopo 8 giorni potro’ finalmente vedere un letto!! Ma prima di tutto mi mangio una mega piatto di spaghetti e mi bevo una birra gelata, life is beautiful!!
A Debark ho cambiato hotel, e per soli 10 birr di differenza riesco ad avere un’ottima stanza ( con solite lenzuola marchiate “servizi ospedalieri” di non so che posto ) dove posso finalmente farmi una doccia con acqua bollente. Durera’ almeno mezz’ora… Il bar ristorante dell’hotel e’ un bar italiano degli anni cinquanta, sembra di essere in una fiction sulla vita di qualche personaggio dell’epoca.
La citta’ fa sempre schifo, ma almeno e’ domenica e c’e’ molta gente in giro e nei locali. Guardandola bene ho notato anche qui la totale mancanza di iniziativa e di intraprendenza della gente di queste parti. Dunque, abiti in uno squallido, sperduto e povero villaggio dell’altopiano etiope. Un posto senza passato, ne’ presente, ne’ futuro, e all’improvviso scopri che ad un passo c’e’ un eldorado turistico, che perfino l’UNESCO riconosce come patrimonio mondiale dell’umanita’. In qualsisasi posto del mondo penseresti: “cazzo, qui abbiamo svoltato, basta lavorare come schiavi per quattro soldi, attiriamo i turisti e ci arriveranno fiumi di dollari e di euri!”. Qui invece no, sono rimasti con le mani in mano, e si sono fatti fottere gran parte del business dai piu’ svegli tipi di Gonder, che organizzano i trek bypassando la citta’ ( e direi giustamente, perche’ come ho detto e’ un cesso ). Ma comunque ci sono parecchi stranieri che si fermano in citta’ almeno per un giorno, gente che come me vuole organizzarsi il trek per conto proprio, e a nessuno e’ venuto in mente di mettersi a vendere qualche souvenir ( sono sicuro che le magliette con lo stambecco o con il babbuino andrebbero a ruba ), di aprire qualche ristorante tipico per turisti o semplicemente di rendere la citta’ un minimo piu’ attraente. E il posto ha ancora enormi potenzialita’ non sfruttate: qui si puo’ fare davvero di tutto, dalle gite in mountain bike ai voli in parapendio, e non mi vengano a dire che non ci sono i soldi, i turisti che ho visto qui e’ tutta gente che non bada a spese.
Conclusioni
Questi 8 giorni nelle Simien mountains sono stati una straordinaria esperienza, in un ambiente completamente diverso da quelli che avevo visto finora in montagna. Tra villaggi sperduti di capanne di paglia, sterminati altipiani coltivati a frumento, montagne quasi dolomitiche che si tuffano in abissi senza fondo, strani animali e piante che si trovano solo qui e persone con visi che sembrano scolpiti nel granito, ho potuto verificare che questo luogo e’ davvero unico al mondo. E poi ci sono i bambini, tantissimi, che con un sorriso sono in grado di metterti di buon umore, anche quando la fatica sembra insostenibile.
Certo e’ stato molto faticoso. E’ un vero miracolo che in queste precarie condizioni fisiche sia riuscito a terminare un trek di circa 100 chilometri, tutti sopra i 3000 metri di quota, a salire su due cime e a passare per ben due volte attraverso il famigerato passo del Bhawit. Bellissimi i campi di Gich e soprattutto quello di Chennek ( un paradiso! ) e i panorami che si susseguono entusiasmanti dall’imet gogo in poi. Mi e’ piaciuta molto anche la parte da Chennek ad Ambikwa, in una zona non turistica, con paesaggi piu’ aspri ma ugualmente affascinanti. Scout e mulettista si sono rivelati due simpatici cialtroni, impossibile spiegargli anche le cose piu’ semplici ( tipo che l’acqua del te’ deve BOLLIRE, non basta che sia calda… ), ma alla fine uno conosceva alla perfezione la zona e l’altro sapeva portare il mulo, che in fondo era cio’ che era richiesto. Avevano una fame pazzesca e vedendoli mangiare ho notato cio’ che mi era gia’ capitato di vedere spesso in India, e che secondo me distingue i paesi veramente poveri da quelli semplicemente “non ricchi”. In questi posti la maggior parte della gente ha una fame insaziabile, e ad ogni pasto mangiano come se non fossero sicuri di poter mangiare di nuovo a cena o il giorno dopo. In realta’ hanno da mangiare a sufficienza, ma evidentemente il ricordo di periodi di guerra o di carestia quando il cibo scarseggiava li porta ad avere un rapporto molto difficile con il cibo. Alla fine gli ho lasciato tutto il cibo avanzato e una buona mancia, grazie a loro ho comunque potuto visitare zone e locali dove i turisti non vanno mai ( penso che nessuno si sia mai fermato a mangiare un’injera a Chiro Leba… ) e in ogni caso anche loro hanno fatto una faticaccia. E c’e’ da aggiungere che hanno dormito all’aperto tutte le notti con solo un paio di copertine leggere ( e a Gich e a Chennek la temperatura e’ scesa di sicuro sotto lo zero, visto che la mattina avevo la tenda ghiacciata ), roba da morire assiderati, anche se loro dicono che sono abituati. A questo proposito c’e’ da dire che questi personaggi che gestiscono il parco sono dei gran figli di puttana, molto bravi a fregare i soldi ai turisti ma incapaci di investire anche una minima cifra per comprare delle tende e dei sacchi a pelo per la gente che lavora per loro.
info utili
Il bus da Gonder a Debark costa 30 birr, 3/4 ore di viaggio. A Debark la migliore opzione “budget” e’ il Simien Park hotel, 50 birr la singola con bagno in comune e 120 con bagno e veranda. Piu’ avanti, sempre vicino il distributore, c’e’ il Lobelia, un classico hotel all’occidentale con un buon rapporto qualita’/prezzo ( stanze dai 120 in su ).
L’ufficio del parco e’ all’inizio del paese, c’e’ un grande cartello dell’Unesco. Ti organizzano tutto loro, e a seconda di cio’ che si vuole noleggiare il trek costa dai 10 ai 15 euro al giorno, comprese le mance. La guida che parla inglese costa altri 6 o 7 euro al giorno. Ho il sospetto pero’ che questi prezzi rimarranno abbordabili ancora per poco, e che tra un paio d’anni i 15 euro diventeranno probabilmente 30 o 40.