Phnom Penh era la città dell’Indocina più amata da Terzani, diceva che era la più bella delle tre capitali costruite nella penisola dai francesi. Poi arrivarono la guerra, l’orribile regime dei Khmer Rouge, la povertà, la fame, i trafficanti e i politici corrotti. E quella città così affascinante, la “perla dell’Asia” adagiata sui tre fiumi, diventò uno sbiadito ricordo di chi ebbe la fortuna di vederla prima che tutto precipitasse.
Oggi è una città molto brutta, sporca, corrotta. E’ quasi impossibile da amare e da apprezzare. Ed è diventata sicuramente la meno bella di quelle tre capitali. La Cambogia non ebbe la forza di fare i conti con il proprio passato e una volta rovesciato il regime si trovò in balia di potenti senza scrupoli, sia locali che stranieri, che non le hanno mai permesso di risalire completamente la china. Phnom Penh oggi rappresenta un po’ tutto il Paese, che forse vorrebbe diventare più ricco e moderno come la Thailandia o il Vietnam, ma per ora manca dei mezzi e probabilmente anche della necessaria convinzione.
Ci sono viaggiatori che amano queste città così degradate e disperate, ma io non sono certo uno di questi: tanti anni di viaggi tra le metropoli dell’India, che ho sempre sopportato a fatica, mi hanno lasciato un senso di fastidio e repulsione per tutte le città simili. A Phnom Penh poi oltre alla sporcizia, alla povertà e al degrado, c’è anche la sensazione di una totale mancanza di ordine e moralità. E ovviamente non c’è traccia della magia, della storia, dell’esotismo e del misticismo indiano che ti possono affascinare in una Delhi o in una Calcutta. La zona dove soggiornavo, piena di bordelli, puttanieri e ubriaconi, mi è sembrata davvero una delle più tristi che abbia visto in quasi 30 anni di viaggi.
Alcuni parlano anche di cibo eccezionale, mercati pittoreschi e di gente particolarmente amichevole, ma onestamente non ho trovato nemmeno questo. In realtà con i cambogiani non ho mai avuto un gran feeling, nel contesto del Sud Est Asiatico non li ho trovati poi così gentili o amichevoli, ma ne parlerò forse in un altro post.
La cosa più interessante della città, e forse l’unico motivo che spinge i turisti a fermarsi un giorno in più prima di raggiungere Siem Reap o Sihanoukville, non è un monumento o un bel panorama ma qualcosa di molto particolare, legato alla tragica storia recente della città. Si tratta infatti della famosa prigione S-21 ( oggi chiamata Tuol Sleng Genocide Museum ), una scuola media che venne trasformata dai Khmer Rouge in un centro di detenzione e tortura. E’ veramente impressionante. Una cosa che mi ha colpito molto, oltre all’atmosfera da film horror e alle tante foto dei poveracci che ebbero la sfortuna di finirci, è stata l’espressione sul volto degli altri visitatori, che probabilmente era simile a quella sul mio: un misto di incredulità, rabbia e orrore. Perché ciò che accadde qui è veramente qualcosa di incomprensibile, soprattutto se si pensa che alla base di tutta questa violenza disumana non c’era razzismo o odio verso altri popoli ( o meglio c’era anche quello, ma non era la motivazione principale ): in nome di un’ideologia malata ( che lo stesso Terzani, che pur ci aveva creduto, fu costretto a riconoscere non essere altro che il comunismo ) questi folli torturavano e uccidevano la propria gente, innocenti che non avevano nessuna colpa. In soli 4 anni, dal 1975 al 1979, circa 17000 persone vennero torturate e uccise in questa prigione o nei famosi killing fields che si trovano fuori città. Quando infine arrivarono i soldati vietnamiti a liberare la città trovarono solo 7 sopravvissuti, due dei quali si possono incontrare nel museo.
Chiunque poteva finire in una di queste prigioni ( la S-21 era la più famosa ma ce n’erano 150 in tutta la Cambogia ), non solo gli oppositori del regime. Spesso poteva bastare anche essere istruiti, religiosi, sospetti simpatizzanti del capitalismo o semplicemente non essere dei contadini o operai. Anche molti bambini furono uccisi, spesso da altri bambini che vennero trasformati dai Khmer Rouge in spietati aguzzini e assassini ( la “nuova gente” che avrebbe dovuto sostituire la vecchia ). Si veniva fotografati, interrogati, torturati e poi uccisi ( dopo aver confessato qualche colpa inesistente ), anche a bastonate o a colpi di vanga per risparmiare proiettili.
Il genocidio cambogiano fu davvero una delle pagine più orribili della storia dell’umanità. E la cosa più incredibile è che Pol Pot una volta rovesciato il regime non venne appeso per i piedi da una folla inferocita o impiccato per crimini contro l’umanità, ma visse relativamente tranquillo per altri vent’anni e morì di vecchiaia nel suo letto. I Khmer Rouge continuarono la loro lotta per anni e poi tornarono alla vita civile come se nulla fosse accaduto. Solo nel 2007, dopo quasi 30 anni, vennero processati e condannati per genocidio e crimini contro l’umanità alcuni dei capi. Ci sono ovviamente delle colpe anche di noi occidentali, in particolare quelle degli americani: la Cambogia di Sihanouk era un Paese molto arretrato ma pacifico, stabile e non poi così povero. Ma le assurde strategie americane nella guerra del Vietnam finirono per aprire di fatto la strada ai Khmer Rouge ( che poi furono ovviamente appoggiati e armati dai cinesi e dai nord vietnamiti ), che prima del regime fantoccio di Lon Nol erano solo piccoli gruppi di guerriglieri senza grandi velleità. E poi si preferì credere che le voci dell’orrore che si stava compiendo in Cambogia non fossero vere.