Sagada viene descritta in genere come una specie di “paradiso dei backpackers” delle Filippine, che in passato venivano da queste parti a rilassarsi aiutati dal clima gradevole, da un’erba di ottima qualità e da un ambiente molto tranquillo. Me l’aspettavo più grande e turistica. In realtà è poco più grande di un villaggio, si sviluppa su una strada principale dove ci sono tutti gli hotel, i ristoranti e i negozi di souvenir, il tutto in mezzo a verdi colline e risaie. Non c’è molta gente, una parte sono turisti con lo zaino ( non sono i classici backpackers straccioni o finti-straccioni del Sud Est Asiatico, sembra tutta gente con il portafoglio bello pieno che non bada a spese ) e il resto locali, molti di Manila. Tutto il turismo ruota attorno alle escursioni nella zona tra grotte, cascate, risaie e le famose bare appese. Quasi tutto è fattibilissimo in modo indipendente ma praticamente tutti si fanno scarrozzare dalle guide, che sono piuttosto care per gli standard asiatici ( almeno se si è da soli o in coppia ). Io ho lasciato perdere le cascate o le grotte, che salvo rari casi eccezionali ( come le Cango caves che ho visto in Sudafrica o anche le grotte di Postumia che si trovano dalle mie parti ) non reputo attrazioni così interessanti, e mi sono fatto una salita su una delle montagne vicine ( il Monte Ampacao ) e qualche altra camminata nei dintorni. Ovviamente non mi sono perso il giro nella Echo Valley dove si possono anche vedere le bare appese più famose, un vero classico di Sagada. Proprio alle bare incontro un folto gruppo di filippini ( i turisti filippini sono un misto tra quelli indiani e quelli americani, sono quasi sempre in gruppi numerosi e fanno un gran casino ) che stanno facendo il giro con una guida. Approfitto per chiedere al tizio la storia dell’italiano morto pochi anni prima qui nella valle, una storia davvero triste e assurda: era salito su un cocuzzolo per fare una foto all’amico e indietreggiando con la fotocamera non si è accorto dell’abisso ed è precipitato per un centinaio di metri, morendo sul colpo. Un altro “must” di Sagada dopo una faticosa escursione è una cena con San Miguel gelata alla Yoghurt House, uno dei ristoranti “storici” della città, dove fanno tra l’altro anche dell’ottima pasta.
Dopo questa settimana tutto sommato molto rilassante sono pronto ad affrontare la parte più “avventurosa” di questo viaggio nelle Filippine, nella regione di Kalinga, che dovrebbe essere la parte più tribale dell’isola. Il viaggio alla fine si rivelerà anche più avventuroso del previsto, visto che vedrò un tizio appena assassinato e mi farò anche fare un tatuaggio tradizionale dall’ultima tatuatrice Kalinga.
La strada tra Bontoc e Tinglayen è la naturale continuazione verso Nord della Halsema Highway, ma la valle del fiume Chico è più selvaggia e la strada è più stretta e in peggiori condizioni, con vari tratti di sterrato. I villaggi sono molto più isolati e avvolti da risaie terrazzate. Dopo un tratto di tornanti ci appare all’orizzonte la famosa “Sleeping Beauty”, una montagna dalla forma particolare che ricorda una donna distesa e in breve raggiungiamo il centro di Tinglayen. Io mi faccio mollare un po’ prima perché voglio fermarmi a Luplupa, un piccolo villaggio che si trova al di là del fiume, dove c’è una guesthouse gestita da un tedesco. Attraverso quindi l’ardito ponte sospeso d’acciaio e mi faccio indicare il Luplupa Riverside Inn, che è un bell’edificio a due piani con un bel giardino. Il tedesco è un tizio in pensione che ha sposato una donna del villaggio, ha deciso di investire in una guesthouse e di vivere da queste parti per gran parte dell’anno. Sta facendo dei lavori di ampliamento e quindi evidentemente qualche cliente ce l’ha, anche se il posto si può definire ancora abbastanza fuori dalle rotte più battute ( anche se in realtà poi scoprirò che un piccolo giro di turisti c’è, non è un posto così sconosciuto come credevo ). Il tedesco non è proprio un simpaticone ma ci faccio delle interessanti chiacchierate soprattutto sulla gente del posto e sulle difficoltà di integrazione, che in posti con una cultura tribale ancora prevalente sono senza dubbio molte. Ovviamente il tizio da tedesco si lamenta soprattutto dell’inaffidabilità e dell’inefficienza dei locali, oltre che della violenza e delle faide tribali ( che però a Luplupa sembrano problemi superati ).
Oltre a me c’è un solo altro viaggiatore, un giovane israeliano che si sta girando un po’ l’Asia prima di andare a vivere a New York dove abita il padre. Dopo le Filippine andrà in Nepal. Si è appena fatto un giro tra i villaggi e mi dà delle buone dritte per un possibile trekking. Mi consiglia anche di prendere una guida, Victor, che abita di fronte alla guesthouse ed è uno dei massimi conoscitori della zona, oltre ad essere “citato” come la guida ufficiale nella LP ( anzi in realtà pare che sia segnalato anche come proprietario del Riverside, anche se non è vero ). In altre zone sarei andato da solo, ma qui a Kalinga ci sono vari rischi da considerare e malgrado i problemi siano soprattutto faide tra tribali c’è molta gente che gira armata e ubriaca, quindi è meglio girare con gente del posto. Perfino il tedesco che vive qui va sempre in giro con un amico locale. In più nella zona che vorrei visitare ci sono vaste coltivazioni di erba, dove generalmente i curiosi con macchine fotografiche non sono proprio ben accetti.
Fortunatamente il tempo sembra volgere al bello e quindi decido di farmi una 3 giorni nella zona di Buscalan, dove a quanto pare c’è anche una famosa tatuatrice, oltre a splendidi paesaggi e un’interessante cultura locale da conoscere. Il tedesco ci dà un passaggio in macchina fino ad un incrocio sulla strada principale e quindi iniziamo a salire prima su carrareccia e quindi su sentiero. Incontriamo prima due simpatici amici ( uno norvegese e l’altro americano ) che abitano e lavorano a Roma da anni, con i quali scambio qualche battuta in Italiano e poi due belle ragazze Filippine del Nord di Luzon che studiano a Manila. Buscalan mi piace molto, è un vero villaggio tradizionale Kalinga, con le donne tatuate che fumano i sigari ( e che ti chiedono sempre in regalo le scatole di fiammiferi, ne ho regalata una gigante ad una donna e non finiva più di ringraziarmi ), le case tradizionali, le contadine che partono al mattino per lavorare nelle risaie. Gli uomini bevono moltissimo ( soprattutto il gin “Ginebra” ) e fumano anche la marjuana, che è uno dei business principali da queste parti: ci sono molte piantagioni nei dintorni e molti degli uomini del villaggio sono in prigione. In realtà hanno una specie di “accordo” con la polizia ma quando qualcuno si mette in testa di andare a fare i soldi in città, soprattutto a Manila, finisce quasi sempre in manette. E nelle Filippine le pene sono molto severe per spaccio. Come ho detto in precedenza la zona non è così “incontaminata” come pensavo, ci sono dei ragazzi che sono qui da settimane a fumare cannoni ( un francese era talmente andato che si era pure dimenticato di rinnovare il visto ) e un piccolo ma costante giro di turisti organizzati che si fanno un trek di 2 giorni tra Buscalan e i villaggi vicini. Niente di tragico, per carità, il villaggio è molto bello e ancora tradizionale, ma se ci si aspetta di arrivare qui a fare gli scopritori di chissacchè la delusione è assicurata.
Mi fermo quindi per un paio di notti nella casetta di Fang Od ( Whang-Od ), la tatuatrice, che oltre a fare tatuaggi ospita anche i viaggiatori. Questa donna è straordinaria: è l’ultima tatuatrice Kalinga ( ci sarebbe una nipote che è in grado di tatuare ma vuole vivere in città e fare altro ), ha 92 anni ed è considerata un vero mito nelle Filippine ma non solo. Dolcissima ma risoluta e altamente professionale, Fang Od mi ha davvero conquistato, ha cucinato per me e mi ha trattato come un figlio ( o meglio un nipote ) e sono orgoglioso di avere un suo tatuaggio sul braccio. E’ un millepiedi, un piccolo tribale senza grande valore estetico ma molto significativo nella cultura Kalinga: i guerrieri infatti si facevano tatuare i millepiedi convinti di poter diventare aggressivi e veloci come quell’animale. Se a qualcuno interessa la storia del tatuaggio Kalinga consiglio di leggere questo interessante post di Lars Krutak, antropologo americano esperto in tatuaggi tribali, che racconta anche in dettaglio la storia di Fang Od.
L’ultima sera mi faccio anch’io coinvolgere in un “meeting” a base di gin con gli anziani del villaggio, è davvero una schifezza ma quando si è in buona compagnia va bene anche quello. La mattina seguente torniamo quindi sulla strada principale e aspettiamo un paio d’ore un jeepney. Scambio qualche battuta con alcune donne del villaggio, una mi consiglia di tagliarmi la barba per sembrare più giovane. Durante il breve tragitto vedo sul bordo della strada un uomo disteso in una pozza di sangue: la gente sul jeepney inizia ad agitarsi e ad urlare ma il conducente non si ferma, anzi accelera. Non riesco a capire cosa è successo, inizialmente credevo fosse la vittima di un incidente e non capivo perché il jeepney non si voleva fermare. Pochi minuti dopo mi spiegano che il tizio era appena stato assassinato, dai paramilitari del NPA o dagli abitanti del villaggio di Basao ( al momento off-limits per i viaggiatori ), e che se ci fossimo fermati avremo rischiato di diventare anche noi dei bersagli.