Dopo qualche giorno di relax a Kuala Lumpur, dove c’erano in corso i festeggiamenti per il capodanno cinese ( e a KL c’è una delle più grandi comunità cinesi dell’Asia ), prendo l’ennesimo volo Airasia e mi preparo a conoscere un nuovo paese, le Filippine, che fino ad oggi non avevo mai considerato come una possibile meta e del quale in realtà so abbastanza poco. Il progetto iniziale era visitare il Sud, poco turistico e ancora relativamente “vergine” soprattutto a causa dei problemi con gli estremisti islamici. Poi però ho cambiato idea, considerando il visto gratuito di sole 3 settimane ho ritenuto più logico e interessante vedere solo un’isola, Luzon, dove avrei potuto trovare natura e bei paesaggi, cultura tradizionale, città coloniali e spiagge spettacolari sulla costa nord. Comunque la regione di Luzon che mi attirava di più era senza dubbio la famosa Cordillera, con le sue montagne di oltre 3000 metri, le sue ardite strade scavate nella roccia, la strana cultura dei gruppi Ifugao e ovviamente le famosissime risaie terrazzate, patrimonio mondiale dell’umanità e uno dei simboli delle Filippine.
Arrivo nella notte ad Angeles, città piuttosto ricca famosa per i bar, i night club e i bordelli, che un tempo facevano affari d’oro con i militari americani della vicina base di Clark ( chiusa nel 1991 ) e che oggi attirano turisti dalla Cina e da un po’ tutto il Sud-Est Asiatico. Nel jeepney verso la stazione dei bus faccio quattro chiacchiere con un simpatico gruppo di Malesi di KL ( tifosi dell’Inter ) che stavano andando proprio a farsi una 2 giorni intensiva di sesso&alcol tra i locali del red light district. Non essendo un amante dei bordelli lascio subito la città e prendo il primo autobus verso Baguio, la “capitale” e il centro culturale della Cordillera, che raggiungo la mattina seguente.
Baguio si trova in mezzo a belle montagne, il clima è gradevole ed è una città vivace molto giovane, visto che ci sono molte scuole e collegi di ottimo livello. Purtroppo come accade molto spesso in Asia la città è cresciuta troppo velocemente senza regole e quella che doveva essere qualche anno fa una deliziosa cittadina di provincia tra verdi colline è diventata una vera e propria metropoli affollatissima, sporca e quasi invivibile. In più c’è da considerare che nelle Filippine le città sono costruite copiando quasi tutto dal modello americano, quindi non c’è nemmeno il fascino decadente “asiatico” che possono avere le metropoli di altri paesi vicini. In ogni caso ho visto di peggio, e comunque credo sia un buon posto dove fermarsi un paio di giorni e iniziare a conoscere questo Paese. La città nacque come località di villeggiatura per i militari americani, ma poi durante la Seconda Guerra Mondiale venne presa dai Giapponesi e infine rasa al suolo dai B52 USA, come molte altre città delle Filippine.
Cosa si può fare a Baguio:
► visitare l’affollatissimo mercato, dove si possono assaggiare cose buonissime ( da segnalare senza dubbio le dolcissime fragole della vicina La Trinidad ) e farsi fare una t-shirt o una camicia dai bravissimi sarti
► farsi una passeggiata al Camp John Hay, che apparteneva all’esercito americano ed è stato trasformato in un parco/resort. Ci sono Hotel di lusso e ristoranti, un campo da Golf, ma si può trovare anche pace e tranquillità tra i bellissimi Pini di Benguet, il tutto assolutamente gratuito
► salire il Monte Santo Tomas che domina la città: purtroppo io ho dovuto rinunciare alla salita a causa del maltempo quindi non ho info di prima mano, ma comunque credo basti andare alla base della montagna con un jeepney e quindi seguire una carrareccia che porta fino in cima
► gustarsi il tramonto sulla città dal centro commerciale SM: davvero bello e romantico, c’è il wi-fi gratuito e più tardi ci si può concedere una pizza e una birra al ristorante italiano al piano terra
Lasciata Baguio inizio il vero e proprio viaggio nella Cordillera, prima tappa: Bontoc. La Halsema Highway è realmente fantastica come avevo letto, una strada strettissima in parte sterrata, tutta curve e tornanti che si inerpica fino ad oltre 2000 metri tra verdissime risaie terrazzate su pendii impossibili e montagne completamente ricoperte dalla vegetazione lussureggiante. Per anni è stata considerata una delle strade più pericolose al mondo ma ora la situazione è molto migliorata, anche se continuano ad esserci molti incidenti e frane soprattutto a causa del maltempo durante la stagione umida.
Bontoc è una cittadina molto tranquilla, poco più di una “one street town”, che in genere viene usata dai viaggiatori come base per visitare Sagada e Maligcong. Non c’è molto, una manciata di hotel e ristoranti, un piccolo mercato, una chiesa e un campetto da basket. La cosa più interessante è il museo antropologico che oltre ad una bella collezione di oggetti tradizionali dei vari gruppi Ifugao ospita anche una stupenda selezione di foto in bianco e nero scattate ai tempi degli headhunters, che esibivano elaborati tatuaggi e, in un paio di foto, anche le teste dei nemici appena tagliate. Purtroppo il tempo continua ad essere pessimo e quindi a malincuore rinuncio alla salita del vicino Mt. Amuyao per la quale avevo una mappa e una relazione ben dettagliata. Non ho però intenzione di rinunciare ad andare a vedere le famose risaie terrazzate di Maligcong, che dovrebbero essere simili a quelle della ben più famosa Banaue. Prendo quindi il primo Jeepney della giornata e mi faccio questi 10 chilometri di strada sterrata con i contadini che vanno a lavorare nelle risaie. L’ultimo tratto fino al villaggio bisogna farlo a piedi attraversando le risaie: i locali si sono sempre opposti alla costruzione di una strada che avrebbe influenzato negativamente i raccolti. In certi villaggi in alcuni periodi dell’anno possono anche vietare l’attraversamento a piedi degli stranieri. Malgrado il tempo tutt’altro che bello e la stagione non ideale comunque riuscirò a godere della bellezza straordinaria di questi anfiteatri terrazzati, che sono un vero e proprio monumento all’ingegno di questo popolo. La gente è molto gentile e simpatica, una ragazza mi accompagna per un tratto con l’ombrello e una vecchina mi mostra i tatuaggi, un’usanza che purtroppo rischia di essere persa per sempre.