In cerca della Cina tradizionale ( prima parte )

dragon backbone terraces

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dazhai

Viaggiando in Cina una delle cose che più colpisce è la grande spinta verso la modernità e il cambiamento, che se da un lato ha permesso al Paese di diventare la grande potenza che è oggi e di affrancarsi ( almeno in parte ) dalla povertà e dall’arretratezza tecnologica, dall’altro ha comportato una quasi scomparsa della cultura tradizionale, soprattutto nelle città. Ci sono ancora molte differenze tra i cinesi e noi occidentali, ma lo stile di vita è diventato molto simile: basta farsi un giro nel weekend in qualche centro commerciale per trovare molte cose in comune.

Se si vuole trovare un po’ di Cina tradizionale è quindi necessario lasciare le città e cercare nelle zone rurali, tra i villaggi abitati dalle cosiddette “minoranze”. Queste persone, malgrado siano cinesi a tutti gli effetti e abitino queste terre da millenni, non sono considerati cinesi al 100%. La maggior parte dei cinesi, più del 90%, appartengono all’etnia han ( tra i quali ci sono anche minoranze etniche riconosciute ), e tutti gli altri sono considerati minzu ( non-han ). Molti sono apertamente discriminati e perseguitati, come i Tibetani o gli Uiguri. Noi occidentali invece siamo laowai, un termine che spesso viene usato in tono dispregiativo.

La zona più affascinante abitata dalle minoranze è senza dubbio il Sud Ovest, dove troviamo oltre l’80% del totale e moltissimi gruppi con abiti tradizionali, architettura dei villaggi, lingue e culture diversi. Nella parte orientale quella tra il Nord del Guanxi e l’Est del Guizhou, dove vivono soprattutto gruppi Dong e Miao, è quella più interessante.

La prima tappa la faccio alle famose Dragon Backbone Rice Terraces, che oltre ad essere una zona fantastica dal punto di vista paesaggistico è piuttosto intrigante anche per la cultura locale. Questi villaggi sono entrati nei circuiti dei tour da relativamente poco tempo e quindi c’è ancora la possibilità di vedere qualcosa di genuino, malgrado ci siano molti cantieri e progetti che in pochi anni trasformeranno tutta l’area in uno dei tanti parchi a tema simildisneyland che tanto piacciono ai turisti cinesi ( o solo al governo? Non lo sapremo mai ). Nel frattempo comunque hanno già messo un esagerato biglietto d’ingresso di 100 yuan ( circa 13 euro ). Ci sono vari villaggi dove ci si può fermare, decido di andare in quello meno turistico dei due principali, Dazhai, abitato dai Red Yao. Ce ne sono anche un paio più isolati che si raggiungono solo a piedi, ma decido che anche Dazhai può andar bene come base: non c’è quasi nessuno, il paesaggio è spettacolare e incontro subito una simpatica signora Yao che mi offre una stanza nel suo bell’hotel, tutto in legno costruito in perfetto stile tradizionale Yao. Purtroppo il tempo non sarà clemente e in 3 giorni avrò solo pochi scorci di bel tempo, ma comunque riuscirò lo stesso a fare un bel giro tra i villaggi e le terrazze.

Questi villaggi sono veramente bellissimi, è la Cina come me la sono sempre immaginata ( e che purtroppo sta scomparendo ), con le case grandi di legno o di mattoni rossi e fango, coi tetti di tegole nere, circondati da risaie terrazzate che sembrano disegnate da un artista visionario e abitati da donne vestite di colori sgargianti.

dragon backbone terraces

dragon backbone terraces

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Gli Yao sono un gruppo che ha origini antichissime, le prime tracce della loro storia risalgono alla dinastia Qin, più di 2000 anni fa. Abitano varie zone del Sud Ovest della Cina ( e si possono trovare anche nei paesi vicini, soprattutto Laos, Vietnam e Thailandia ) ma il numero maggiore è in questa zona del Guanxi attorno a Longsheng. Hanno una loro lingua ma è molto diffuso anche il mandarino, anche perché è sempre stato usato nella forma scritta, che non esiste nel loro idioma. Tra le particolarità degli yao c’è sicuramente l’usanza delle donne di non tagliarsi mai i capelli dopo i 16 anni e uno dei villaggi della zona delle Dragon Backbone Terraces è addirittura entrato nel guinnes dei primati per questo: la lunghezza media dei capelli delle donne di questo villaggio è stata misurata a ben 1,7 metri! I capelli vengono avvolti intorno al capo come un turbante e coperti da una specie di cappello. Fino a pochi anni fa solo il marito e i figli potevano vedere i capelli di queste donne ma questa tradizione è stata abbandonata, probabilmente anche per l’arrivo dei turisti che si divertono a fare foto a queste donne quando si pettinano ( io non ho voluto farne, mi è sembrata una cosa non corretta ).

dragon backbone terraces

Non è la migliore stagione per vedere le terrazze, che sono stupende quando vengono allagate, ma rimango comunque affascinato dai fantastici colori autunnali che rendono il paesaggio simile ad un quadro di Monet. Dopo 6 ore di cammino arrivo al viewpoint più alto e mi siedo in solitudine ad ammirare questo spettacolare paesaggio. Pochi minuti dopo arrivano 4 turisti con una guida, sono italiani, e scambio con loro qualche impressione sulla Cina.

dragon backbone terraces

Lasciata Dhazai torno a Longsheng e quindi mi dirigo in una zona un po’ più isolata e molto meno frequentata dai turisti. Prendo un vecchio autobus per Sanjiang e quindi un minibus collettivo per Chengyang. La strada è pessima perché ci sono lavori in corso, come un po’ dappertutto, viaggiando da queste parti non si può fare a meno di notare che ci sono cantieri ovunque, sia nei grandi centri che nei più piccoli villaggi. Il tizio mi molla davanti al famoso wind and rain bridge, dove ovviamente non manca la solita biglietteria, 60 yuan please. Anche qui c’è un bel “restyling” in corso, in fase meno avanzata delle Dragon Backbone terraces, ma l’atmosfera è molto gradevole e appena attraversato il ponte si ha subito l’impressione di entrare in un mondo diverso, arcaico, un misto tra la Cina tradizionale dei film e quella dell’epoca di Mao. Entro nel primo hotel che vedo, parlano solo poche parole d’inglese ma hanno delle stanze pulite, l’acqua calda e il wi-fi, il tutto per soli 50 yuan. Nella bacheca hanno anche tutte le info utili che servono, mappe, mercati, orari delle danze tradizionali e degli autobus.

Chengyang si rivelerà uno dei posti più affascinanti visitati in questo viaggio in Cina. Vera Cina tradizionale, villaggi bellissimi, gente amichevole, buon cibo e pittoreschi paesaggi da film di Kung Fu. In realtà non è un solo villaggio, ma un gruppo di otto villaggi ben distinti, tutti abitati dall’etnia dong ma con qualche piccola differenza tra di loro. Nei giorni seguenti mi faccio una full immersion di vita cinese tradizionale, tra i villaggi, le risaie, i piccoli ristoranti e le pittoresche “drum towers” che sono un po’ i simboli dei villaggi dong.

chengyang

chengyang

chengyang

wind and rain bridge

chengyang

Nel villaggio più grande mi guardano un po’ con sospetto, ma qualche donna mi sorride. Gli uomini invece sono sempre serissimi. I cinesi sono ancora un po’ un enigma per me, perché hanno delle caratteristiche comuni ad altri asiatici tipo i thai ma anche altre che sono uniche. Questi poi non sono nemmeno i cinesi “normali”. Nella piazza ci sono molti uomini vestiti  con le vecchie “uniformi” blu e che portano il cappello di Mao. Giocano a domino e agli scacchi cinesi e ad altri giochi che non conosco. Una donna mi osserva tra le tende di una finestra. Scatto qualche foto e vado a vedere il mercato, dove non c’è nulla di strano ( in Cina ti aspetti sempre cose strane nei mercati ), e poi mi perdo su una collina di risaie seguendo una ragazza con un mulo. Al ritorno mi fermo ad osservare una martellatrice ( una vecchia che prende a martellate il tessuto usato per gli abiti tradizionali dong ).

chengyang

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chengyang

Decido di andare anche nel villaggio più isolato, dove gli sguardi della gente si fanno ancora più perplessi. Probabilmente si chiedono: “ma che ci fa un laowai da queste parti?”, ma la gente è amichevole e sorridente. Tutti comunque sembrano sempre impegnati a fare o costruire qualcosa, è raro vedere qualcuno che cazzeggia in giro, quindi in genere ti danno un’occhiata distratta e poi continuano a fare ciò che stanno facendo.

I dong hanno abiti tradizionali meno appariscenti degli Yao, in genere vestono solo abiti blu scuro, ma hanno anche loro una cultura e tradizioni antichissime estremamente affascinanti. Fiabe con gnomi, folletti e dragoni, antichi rituali magici, impressionanti “drum towers” e ponti coperti fengyu… girare per questi villaggi è quasi un viaggio nel tempo. Più a nord, in un’altra zona piuttosto isolata, c’è il più grande ( e secondo molti il più bello ) villaggio dong, Zhaoxing, che descriverò nel prossimo post.

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