Lasciata Khulna mi dirigo verso Barisal, che è considerata una delle città più belle del Bangladesh e si trova nel mezzo dell’enorme delta che si è formato dalla confluenza tra il Gange, il Meghna e il Brahmaputra ( è il più grande delta del mondo ). In effetti la città è abbastanza carina ( anche se non proprio bella ), c’è una bella atmosfera da “backwater town” tropicale e tutti sono molto tranquilli.
Barisal è probabilmente una delle città più ecologiche dell’Asia: nel centro i mezzi a motore sono rarissimi, e sono rimpiazzati da rickshaw e tuc tuc elettrici. Come tutti gli amanti dell’Asia sanno ogni Paese ha la sua versione del mitico tre ruote, e ovviamente anche qui in Bangladesh ne hanno uno assolutamente originale. E’ uno strano incrocio tra una moto, un ape e una di quelle macchinette che usano nei campi da golf. E’ elettrico, non credo vada a più di 15 km all’ora e fa lo stesso rumore dei nostri muletti. A Barisal è giallo, ma ci sono altre versioni in altre città verdi o rosse. Se non si ha fretta ( e qui non ne hanno mai ) in una città piccola come questa può essere un ottimo sistema di trasporto pubblico, anche perché il costo di un viaggio medio è risibile. In più si può condividere con altri, a differenza del rickshaw ( che comunque è anch’esso molto economico, anche se ovviamente il wallah ti vuole sempre fregare ).
La città è meno povera e disperata di altre ma è qui che inizio ad accorgermi che in generale il Bangladesh è un Paese davvero molto povero e arretrato. L’India sotto molti aspetti è ancora un Paese del Terzo Mondo, ma soprattutto nelle città spesso si ha la netta sensazione che la modernitá arriverá presto anche lí. In Bangladesh non é cosí: il Paese é paurosamente arretrato in tutto e raramente si vede qualcuno lavorare con l’aiuto di macchine o computer. La spiegazione credo sia abbastanza semplice: da un lato oggettivamente non ci sono risorse sufficienti per avviare un processo di modernizzazione, mentre dall’altro lato bisogna garantire un lavoro a piú persone possibile ( e in Bangladesh sono proprio in tanti, 180 milioni in un stato grande la metá dell’Italia ), perché non avere un lavoro da quelle parti significa davvero fare la fame. E rispetto a qualche anno fa oggi non se la passano nemmeno cosí male. Dopo la guerra di indipendenza dal Pakistan, poco conosciuta in occidente ma che fu una delle piú terribili e sanguinose combattute dopo la Seconda Guerra Mondiale ( circa 3 milioni di vittime e terribili atrocitá commesse dai Pakistani ), il Bangladesh precipitó in un abisso di fame e povertá che duró decenni. In un famoso discorso Henry Kissinger definí quello del Bangladesh un “basket case” ( un caso senza speranza ). Oggi la speranza é tornata, ci sono timidi segnali di sviluppo economico e la gente guarda al futuro con fiducia. Certo, molti problemi sono ancora lontani dall’essere risolti, come la corruzione della politica, gli estremismi religiosi e la discriminazione delle donne, ma comunque negli ultimi anni i passi avanti ci sono stati, e in alcune cose il Bangladesh ha addirittura superato i vicini indiani.
Ed é sempre a Barisal che inizio ad essere infastidito dall’eccessiva invadenza dei bangladeshi, che mi accompagnerá ovunque durante questo viaggio. Ok, qui vedono uno straniero ogni morto di Papa, ma non é certo la prima volta che viaggio in luoghi simili e anzi in genere li preferisco a quelli dove nessuno ti considera perché sei solo uno dei tanti. Nella stessa India in alcuni posti sei continuamente importunato da gente invadente. Ma qui in Bangladesh sono di un livello superiore: ovunque tu vada sei continuamente osservato, seguito, toccato. Se ti fermi un attimo a fare una foto in breve sei circondato da gente che ti fissa, se ti siedi a bere un chai in pochi minuti si forma un capannello di gente ad osservarti. Non c’é malizia, credo sia solo curiositá, ma dopo qualche giorno diventa sul serio estenuante.
Prima di capire che la cucina bangladeshi è un versione musulmana di quella indiana, ma che qualcosa di vegetariano si puó trovare quasi ovunque, faccio l’errore di andare a mangiare nel ristorante cinese che sta sotto il mio hotel. In realtá praticamente non esistono cinesi in Bangladesh, questi ristoranti sono tutti gestiti da locali e sono piú che altro ció che loro immaginano sia un ristorante cinese. L’ambiente é molto strano, sembra quello di un night club, non ci sono finestre e le luci sono soffuse. Mi viene il dubbio di essere entrato per sbaglio in un bordello, ma non ci sono puttane in vista e i camerieri sono tutti uomini. Nemmeno il menu ricorda molto quello di un ristorante cinese e i prezzi sono decisamente alti per gli standard locali.
Il mio progetto iniziale era quello di andare a Chittagong con un traghetto a vapore settimanale, ma appena arrivo scopro con disappunto che il servizio é stato sospeso e che anche quello per Dhaka é stato sostituito da navi piú moderne. Peccato, avevo letto una bella storia su un blog e mi sembrava una bella avventura. A quel punto decido di andare a Sud, a Kuakata, una ridente cittadina sul Golfo del Bengala abbastanza popolare tra i bangladeshi ma fuori da qualsiasi rotta di viaggiatori stranieri. Non che il resto del Bangladesh sia molto diverso, ma qui le probabilitá di incontrare altri stranieri sono quasi nulle.
Il paesaggio del delta é affascinante e selvaggio, tutto è verdissimo ( questa è una delle zone più fertili del mondo ) e il viaggio é abbastanza avventuroso: per raggiungere Kuakata bisogna attraversare 5 fiumi, ma non c’è nemmeno un ponte. Ci sono delle chiatte vecchissime tutte arrugginite che trasportano mezzi e persone da una sponda all’altra e l’impressione é che possano affondare da un momento all’altro. Ma non é solo un’impressione: accade abbastanza spesso e ci muore un sacco di gente, soprattutto durante la stagione dei monsoni che da queste parti sono particolarmente violenti. Sull’autobus faccio amicizia con dei tizi in vacanza degli Hill Tracts, vicino a Chittagong, che subito si offrono di aiutarmi a trovare l’hotel e a farmi un po’ da guide. Sono anche loro abbastanza invadenti ma mi offriranno spesso la cena, da bere ( whisky di contrabbando ) e mi faranno fare dei bei giri in moto nei dintorni. Pur essendo musulmani bevono come spugne e non disdegnano le puttane locali. La spiaggia di Kuakata é bella, abbastanza pulita e molto larga e lunga ( 30 chilometri! ), ma il mare ha il solito colore grigiastro che ho spesso visto sulle localitá sul mare dell’India Orientale. Anche le campagne circostanti sono molto belle e selvagge, ci sono dei villaggi di contadini e pescatori molto isolati. Molte di queste persone sono buddhiste e non musulmane, visto che i primi che si insediarono qui furono popoli originari dell’attuale Myanmar. Non é certo l’Indonesia o la Thailandia, ma é un posto di mare anche gradevole e talmente remoto da farti sentire ai confini del mondo.
Una volta tornato a Barisal mi attivo subito a cercare informazioni sulla barca per Dhaka ( dove non mi fermeró, voglio vedere prima Chittagong ): ce ne sono 3 o 4 ma mi sparano cifre esorbitanti per la cabina, quindi alla fine decido di buttarmi giú sul ponte insieme a tutti gli altri bangladeshi ( se la cabina é cara per me, figurarsi per loro ). Molti ovviamente si fermano a fissarmi. Purtroppo questi ferry sono solo notturni e quindi non c’é la possibilitá di godersi il panorama del delta. Quando suona la sirena non resta che ficcarsi dentro il sacco a pelo e farsi una buona dormita, un’altra sirena l’indomani sará la sveglia all’ingresso del mitico porto di Dhaka.